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La pelle del manovale

Leggendo un libro di inizio anni ’70 di un sacerdote che per “vocazione” decise di farsi assumere in una impresa edile per stare affianco degli operai, lavorare e faticare con loro, ho trovato vari aspetti interessanti sulla sicurezza e la salute dei lavoratori più disagiati in quegli anni:

“L’industria italiana ha conquistato un nuovo mercato… ha tenuto il passo di fronte alla concorrenza nemica… onore e merito al valore delle nostre forze produttive…”Le forze produttive sono i 5500 infortunati al giorno, un morto ogni due ore; nel solo 1969 i morti per infortunio sono stati 2742, 68 per malattie professionali, 825 per silicosi, 1184 in agricoltura, casi registrati di silicosi 32.000, ecc.

Incidenti del mestiere, infortuni  non prevedibili, fatalità!

Me lo ha detto anche il medico della mutua, quando gli spiegavo la serie dei miei malanni da due anni a questa parte: “Ma lei, mi dica, è un po’ distratto?”.

Consolate i mutilati e i moribondi e se potete consolate le vedove e gli orfani con la vostra “distrazione”, poi magari gli date la medaglia e anche il monumento, e la fanfara dell’esercito farà venire il prurito a tutti gli imbecilli presenti alle vostre parate.

Lasciate almeno che alle vostre cerimonie qualcuno non ci sia a rappresentare gli assenti, e alle vostre ipocrisie qualcuno non creda e gridi forte che la guerra esiste.

Ho visto nell’anima operaia una strana filosofia di dolore, ereditata da non so quale pulpito.

Sono tre giorni che sta male, lo vedi che non ce la fa ad arrivare alla fine del turno, la testa pesante, le mani fiacche… eppure non va via, non sta a casa, non cede.

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C’è al fondo un resto ben incarnato di quella mentalità contadina orgogliosa e pazza che fa dire “mai stato ammalato”; gli leggi negli occhi la paura di passare per pelandrone davanti ai compagni, il sospetto che il dottore non gli creda e lo rimandi a lavorare. E fossero fantasie… ma è realtà.

Se  non hai una gamba rotta o un cranio spaccato, le malattie si guariscono in fretta alla mutua, e quando torni in cantiere ti si chiede come sono passate le ferie ed in casa la famiglia ti inchioda con gli occhi e ti umilia al vederti con le mani in mano.

È la guerra; la guerra che paga al 50% i mutuati e al 60% gli infortunati quasi a dire loro “fai in fretta a guarire, perché se no non mangi più” e ti ritarda gli assegni di malattia per farti disperare davanti all’affitto alla tavola, ai figli da vestire.

[Romano Borgetto, La pelle dell’operaio – un prete in fabbrica, ed. Claudiana, Torino, 1973]

dott. Federico Bianchini